Ottantanove linee telefoniche intercettate prima di chiudere l’inchiesta chiamata Tuono sulla droga in arrivo dall’Albania e dalla Sicilia: la Procura ha notificato 18 avvisi di conclusione indagine, contestando anche la coltivazione di piane di marijuana alle porte di Brindisi.

Dopo il blitz dello scorso 7 febbraio 2018, restano indagati e sono a rischio di processo: Walter Margherito, 38 anni, di Brindisi (nella foto accanto); Paolo Chiarella, 53, di Brindisi; Luka Beqiraj, 31, nato in Albania; Carlo Cofano, nato in Svizzera ma residente a Fasano, 37; Cosimo Contestabile, 47, di Brindisi; Luigi Conversano, 34, di Fasano; Armando Corsa, 45, di Brindisi; Francesco D’Urso, 38, di Brindisi; Antonio Roberto Ferlito, 43, di Catania; Roberto Ferlito, 42, di Catania (sono cugini); Gjergji Kokoshari, 38, nato in Albania; Giuseppe Lorè, 46, di Brindisi; Italo Lorè, 43, di Brindisi (sono fratelli); Onofrio Margaritondo, 42, di Fasano; Roberto Nigro, 51, di San Vito dei Normanni; Giovanni Rizzato, 50, di Brindisi; Antonio Signore, 48 anni, di Brindisi; Pietro Vergaro, 28, di Torre Santa Susanna.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, dei reati di detenzione e cessione in concorso di sostanze stupefacenti e ricettazione, tentata estorsione, rapina, nonché detenzione e porto abusivi di armi da fuoco. Finirono in carcere: Paolo Chiarella, Carlo Cofano, fratelli Italo e Giuseppe Loré, i cugini Roberto e Antonio Ferlito, Armando Corsa, Francesco D’Urso, Giovanni Rizzato, Antonio Signorile, Pietro Vergaro, Walter Margherito, Onofrio Margaritondo e Roberto Nigro. Gli altri sei rimasero a piede libero.

Le indagini hanno preso il via dalla scoperta di 2.500 euro a casa di un brindisino, al quale i carabinieri dovevano notificare un atto. In quella circostanza venne trovato un albanese, al quale sarebbe stata riconducibile una modica quantità di marijuana. Per giustificare quella somma, l’albanese disse di essere arrivato a Brindisi per acquistare delle auto. La “ricostruzione venne confermata da Spagnolo e da Margherito”, si legge nel provvedimento di arresto firmato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, Stefania de Angelis, su richiesta del pubblico ministero Valeria Farina Valaori, passata all’Antimafia di Lecce.

I due, in un secondo momento, avrebbero riferito di essere “intermediari in una trattativa che avrebbe portato gli albanesi ad acquistare una imbarcazione”. Secondo il pm, “l’assenza di qualsivoglia prova dell’acquisto di auto, la somma trovata e la pretestuosità delle giustificazioni, lasciano ragionevolmente ipotizzare che su trattasse di approvvigionamento di droga”. Da qui una serie di intercettazioni nel periodo di tempo compreso fra il 10 febbraio e il 18 agosto 2017.

L’ascolto delle conversazioni ha permesso di ricostruire il litigio fra alcuni indagati, dopo il sequestro di un ingente carico di droga, perché un brindisino veniva considerato autore di un vero e proprio furto di sostanza stupefacente, dal momento che mancavano all’appello circa 600 chili di droga.

“Il sospetto era stato palesato da Margherito nei confronti di Margaritondo”: “Io che faccio? Non è che vado a rubare a casa dei miei amici”, si lelle nella trascrizione della conversazione riportata nel provvedimento di custodia cautelare, come grave indizio di colpevolezza. “Nei confronti di Margaritondo, Margherito non risparmiava minacce di morte, esternate anche nei confronti di Mario Schiavone”, ha scritto il gip condividendo la ricostruzione dei fatti del pubblico ministero.

“E’ normale che io vengo e ti ammazzo, subito subito io andavo già da Mario, e bum, bum, bum, Mario ciao”. Parole di Margherito dette al telefono. La ragione del rancore, secondo la lettura data dall’accusa, sarebbe da mettere in relazione all’intervento dei carabinieri del Norm di Fasano il 16 marzo 2017, dopo aver ricevuto la segnalazione di un accesso irregolare in uno stabilimento balneare di Savelletri. In quella circostanza venne abbandonato un “Fiat ducato e passeggero e conducente, avendo evidentemente timore di subire un controllo, abbandonarono il mezzo e fuggirono a piedi lungo le campagne vicine”. I militari in quella circostanza riconobbero Margaritondo “in virtù delle fattezze fisiche e del timbro vocale e parzialmente dal volto per un breve frangente”. Oltre al Ducato venne sequestrato un gommone, marca Lomac di otto metri, rivenuto ormeggiato al porticciolo turistico di Torre Canne.

Le intercettazioni sono fonti di prova dell’accusa mossa nei confronti di Margherito e Chiarella (nella foto in basso)”, legata alla “coltivazione di 50 piante di marijuana”. Margherito avrebbe avuto contatti con un “non meglio precisato uomo di nazionalità albanese, al quale ammetteva in maniera esplicita di aver fatto 50 piante” usando la lampada, nell’arco di due mesi.

La conversazione ritenuta di rilievo è quella del 7 marzo 2017, quando Margherito chiede anche i prezzi di vendita, ipotizzando importi che vanno da 700 sino a mille euro al chilogrammo. Il 12 marzo, Margherito viene intercettato mentre è in auto con Chiarella: parlano durante il tragitto per raggiungere l’abitazione che si trova all’incrocio fra le strade provinciali 37 e 38. “I due facevano esplicito riferimento al concime che Chiarella aveva usato per accelerare lo sviluppo delle piante e al loro relativo stato di crescita”. “Ieri ho usato un poco di cosu, di concime”, dice. “Ci metto sempre due-tre tappini di quell’altro insieme a quello rosso”.

Attorno alle 16, una volta arrivati, i due decidono ci fare un paio di foto con il telefonino: “Così le facciamo vedere a quell’altro”. Lo scatto si rendeva necessario perché “Margherito manifestava i propri dubbi circa lo stato di crescita delle piante, a suo parere in notevole ritardo”. E diceva: “Secondo me queste non ti sballano, non ti danno lo sballo” E ancora: “L’acqua la stai dando?”.

Nel dialogo si comprendeva – sostiene il gip – che “Chiarella si occupava di innaffiare le piante e si intuiva che per accelerarne la crescita, aveva installato delle lampade con un timer che regolava la loro accensione e il loro spegnimento”.

I due, dieci giorni dopo sono tornati nella serra e in questa occasione “Margherito indica a Chiarella il tipo di concime da utilizzare”. “Il coso volevo che compravi, il sangue di bue, rosso”. Gli indagati hanno venti giorni di tempo per chiedere di essere interrogati dal pm o per presentare memorie difensive o ancora per fare richiesta di ulteriori accertamenti.